CASSAZIONE PENALE-SEZIONE SESTA- SENTENZA N.39351

“LA VERSIONE DELLA GIUSTIZIA”

Cassazione Penale- Sezione Sesta – sentenza 20 ottobre – 9 novembre 2010, n. 39351

 Reati contro la pubblica amministrazione – Peculato – Momento consumativo – Nozione pubblico ufficiale

Il delitto di peculato, che e’ reato istantaneo, si consuma nel momento stesso in cui l’agente, in possesso di un bene altrui per ragioni di ufficio, ne dispone uti dominus, sicche’ nel caso riguardante la riscossione di danaro per conto della pubblica amministrazione, posto che tale danaro diviene subito di proprieta’ pubblica, l’agente non puo’ confonderlo con il proprio, assumendo l’obbligo di erogare all’amministrazione l’equivalente, o scambiarlo con titoli di credito di sua pertinenza, perchè tale comportamento assume valenza appropriativa, almeno quando il tempo trascorso tra la riscossione e il versamento ecceda quello ragionevolmente necessario in relazione alla complessita’ delle operazioni da compiere. 


Fatto e diritto

Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Bologna confermava la decisione in data 19/1/07, con la quale il G.U.P. del Tribunale di Ferrara a seguito di rito abbreviato condizionato allespletamento di una perizia contabile aveva dichiarato Mecozzi Piertomaso e Mecozzi Debora colpevoli di concorso in peculato continuato ex artt. 110-81-314 c.p. e condannati alla pena di giustizia oltre al risarcimento del danno in favore dellOrdine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della Provincia di Ferrara, costituito parte civile con assegnazione di una provvisionale, provvisoriamente esecutiva di Euro 24.028,43.

continua all’interno (con anche la sentenza della Corte d’Appello di Bologna)

Si contestava agli imputati, nella rispettiva qualitil primo di direttore amministrativo e la seconda di impiegata alle dipendenze del predetto ente, e percipubblici ufficiali, di essersi appropriati del danaro corrispostogli dallOrdine Professionale, destinato alle spese di gestione dellente, versandolo sul proprio conto corrente, quanto meno per limporto di circa Euro 87.000,00, poi ridotto dal giudice di primo grado a circa Euro 24.000,00, pari alla differenza tra i versamenti e i prelevamenti effettuati nel periodo intercorrente tra l1/1/99 e il Marzo 2002.<?xml:namespace prefix = o ns = “urn:schemas-microsoft-com:office:office” />

Secondo laccusa il Mecozzi Piertomaso aveva il controllo pieno e diretto di tutta lamministrazione, anche per i rapporti con gli enti domiciliati presso lOrdine e la figlia Mecozzi Debora lo coadiuvava e lo sostituiva nei periodi di assenza, assumendo un ruolo analogo a quello del direttore amministrativo. Essi gestivano la contabilitavvalendosi per lo pidi un conto corrente bancario personale a loro cointestato, senza essere stati mai autorizzati dagli organi istituzionali dellente, e senza che ve ne fosse ragione, con la volontdi gestire il danaro dellente in piena autonomia e senza subire controlli.
Ad avviso del giudice del gravame, che condivideva la ricostruzione della vicenda, operata in prime cure, la responsabilitdegli imputati andava estesa alla complessiva prassi di utilizzare un conto corrente personale per la gestione della cassa dellente pubblico, mediante accredito di incassi e addebito spese, avendo cicomportato la interversione del possesso del danaro e la confusione del patrimonio dellente con quello personale, atteso che quel conto veniva utilizzato anche per scopi di carattere privato.

Contro tale decisione ricorrono entrambi gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori.

In difesa del Mecozzi Piertomaso si articolano otto motivi.

Con il primo motivo si eccepisce linosservanza dellart. 597 c.p.p. e il difetto assoluto di motivazione e si censura loperato della corte territoriale che aveva ritenuto gli imputati colpevoli di tutte le innumerevoli operazioni di versamento di danaro, effettuate sul proprio conto corrente in tutto il periodo in contestazione, andando in contrario avviso rispetto alla decisione di primo grado, non impugnata sul punto ndal P.M., ndalla parte civile, e violando le garanzie difensive degli imputati, che avevano proposto appello limitatamente alloggetto della condanna di primo grado.
Con il secondo motivo denuncia la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza in riferimento agli artt. 423-441/bis, 521-522 c.p.p. e lassenza assoluta di motivazione, sottolineando la sostanziale differenza tra la posizione di chi chiamato a discolparsi dallavere trattenuto per suna determinata somma di danaro rispetto a quella di chi invece chiamato a discolparsi dalla pigenerale prassi di avere utilizzato il conto privato per il cambio-assegni, indipendentemente dalla circostanza che le somme rinvenienti fossero in tutto o in parte impiegate per le spese dellente.
Con il terzo motivo lamenta lerronea applicazione della norma incriminatrice e il difetto assoluto di motivazione e censura lerrore commesso dal giudice del gravame nel richiamare la giurisprudenza di legittimitin ordine al c.d. vuoto di cassa senza motivare sulla necessaria sussistenza di un vuoto – temporaneo – di cassa, che non poteva considerarsi presunto nella mera negoziazione del titolo sul conto corrente personale, mostrando in tal modo di ritenere la sussistenza del peculato per il solo fatto di aver irregolarmente utilizzato il conto personale per trasformare leffetto in danaro contante, laddove invece occorreva la prova di un atto di interversione del possesso, accompagnato dal c.d. animus rem habendi sibi, Lutilizzo del conto corrente personale per effettuare il c.d. reintegro cassa configurava una irregolare condotta, ma non ancora appropriazione rilevante ex art. 314 c.p. senza la prova della mancata restituzione o della mancata destinazione del danaro agli scopi istituzionali.

Con il quarto motivo deduce la mancata assunzione di prova decisiva, linosservanza dellart. 603 c.p.p. e il difetto di motivazione e sostiene che, nonostante le conclusioni del perito il quale aveva ritenuto che non si poteva avere la certezza di una totale ricostruzione dei valori alla stregua della documentazione acquisita agli atti, e nonostante le censure mosse nei motivi di appello circa il tentativo, operato dalla sentenza di primo grado di ribaltare in danno dellimputato la carenza documentale e le conseguenti difficoltricostruttive, inopinatamente la corte territoriale rifiutava la rinnovazione parziale del dibattimento, intesa alla rinnovazione della perizia, previa acquisizione di tutta una serie di documenti, indicati dalla difesa.

Con il quinto motivo eccepisce il difetto assoluto di motivazione e il travisamento della prova in riferimento alle presunzioni, che il perito aveva applicato, e che il giudice di primo grado aveva condiviso, al fine di pervenire allindividuazione dellammanco finale e stigmatizza la mancata risposta del giudice del gravame alle serrate critiche, mosse nei motivi di appello in ordine alla prova dellentitdelle somme depositate nella cassaforte dellente alla data del 31/3/02 del commesso reato, allentitdella cassa iniziale alla data del 1/1/99, alla quantificazione dellammanco e allimporto definitivo di Euro 24.000,00, solo presuntivamente accertato.

Con il sesto motivo denuncia lerronea applicazione dellart. 314 c.p.p. e il difetto di motivazione in riferimento alla qualificazione giuridica del fatto sotto il profilo della mancata autorizzazione da parte degli organi istituzionali dellente allutilizzazione del conto personale degli imputati, che a loro insaputa operavano il cambio assegni per il reintegro cassa, cosa che semmai poteva integrare lipotesi della truffa e non gidel peculato.

Con il settimo motivo lamenta lerronea applicazione degli artt. 314-357 c.p. e il difetto di motivazione in riferimento alla ritenuta qualifica di pubblici ufficiali assegnata agli imputati, per il solo fatto che, come pubblici dipendenti, avevano il maneggio del danaro, senza contare che i predetti erano legati allente esclusivamente da un contratto di lavoro subordinato, che sfuggiva a qualsiasi disciplina pubblicistica, essendo la responsabilitdellente affidata solo al Presidente, al Segretario e al Tesoriere. Sul punto ed in subordine la difesa reiterava la questione pregiudiziale, gievidenziata nei motivi di appello, del conflitto tra la normativa italiana e quella comunitaria in tema di natura pubblicistica dellOrdine dei Medici, che la corte territoriale aveva superato, ritenendo perfettamente compatibile con le disposizioni sopranazionali la qualificazione di ente pubblico dellOrdine dei medici nel nostro ordinamento, nonostante che nel diritto comunitario gli ordini professionali, considerati come associazione di imprese di natura privata, trovassero la loro disciplina negli artt. 81 e 82 del Trattato CEE in combinato disposto con lart. 10, che obbliga gli Stati membri a non adottare o mantenere in vigore provvedimenti, anche di natura legislativa o regolamentare, idonei ad elidere lapplicazione delle regole comunitarie. Infine con lottavo e ultimo motivo lamenta linosservanza degli artt. 100 cpp e 24 disp. att. cpp. e il difetto di motivazione, stigmatizzando loperato della parte civile, che stando in giudizio con due diversi procuratori nei confronti dei due imputati, nonostante che si procedesse nelle forme del simultaneo processo, aveva eluso la norma imperativa che limitava ad un solo difensore lassistenza e la rappresentanza della parte civile, nonchdel giudice di secondo grado, che fraintendendo la questione proposta dalla difesa, aveva di fatto consentito che la parte civile si pronunciasse due volte nel medesimo procedimento.

Sei ed analoghi sono i motivi svolti in difesa di Mecozzi Debora.

Con il primo e il secondo motivo si denuncia la contraddittoriete illogicitdella motivazione sotto il profilo della mancata conoscenza degli organi amministrativi dellente delloperato degli imputati, da cui i giudici del merito avevano desunto linterversione del possesso del danaro da parte della Mecozzi Debora e il conseguente giudizio di colpevolezza in ordine al reato ex art. 314 c.p., nonchla violazione dellart. 597 c.p.p. sotto il profilo della violazione delleffetto devolutivo dellimpugnazione, atteso che il giudice del gravame, pur in mancanza di impugnazione del P.M., aveva ritenuto sussistente la colpevolezza dellimputata sul solo presupposto del versamento degli assegni sul conto corrente personale, con conseguente palese violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.
Il terzo motivo, concerne la mancata assunzione di una prova decisiva e reitera gli argomenti e le osservazioni formulate nel quarto motivo del ricorso del coimputato.

Con il quarto motivo si eccepisce la violazione della legge penale in riferimento alla attribuita qualifica di pubblico ufficiale allimputata, la quale, a tutto voler concedere, aveva concorso allattivitdellamministrazione al pari di ogni altro dipendente, ma in nessun modo aveva concorso a formare e manifestare la volontdellente, che a norma dellart. 357 c.p. e dello Statuto dellente spettava unicamente allAssemblea degli iscritti, al Presidente, al Segretario e al Tesoriere, onde, esclusa in capo alla predetta la qualifica di funzionario di fatto, stante il rapporto gerarchico con il direttore, in nessun caso si poteva contestare il delitto di peculato, ma semmai il solo delitto di cui allart. 646 c.p. con laggravante dellart. 61 n. 11 c.p.

Anche il quinto motivo, concernente la qualificazione giuridica dellOrdine Professionale dei medici, ripropone le stesse questioni evidenziate nel settimo motivo di ricorso del coimputato. Infine con il sesto motivo si eccepisce la violazione dellart. 133 c.p. e il difetto di motivazione in riferimento alla determinazione della pena.

Il ricorso non ha fondamento e va pertanto rigettato sia pure con le precisazioni, che di seguito verranno esposte.
Ed invero in punto di diritto il collegio non puche richiamare e ribadire il principio, ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, a mente del quale il delitto di peculato, che reato istantaneo, si consuma nel momento stesso in cui lagente, in possesso di un bene altrui per ragioni di ufficio, ne dispone uti dominus, sicchnel caso riguardante la riscossione di danaro per conto della pubblica amministrazione, posto che tale danaro diviene subito di proprietpubblica, lagente non puconfonderlo con il proprio, assumendo lobbligo di erogare allamministrazione lequivalente, o scambiarlo con titoli di credito di sua pertinenza, perchgitale comportamento assume valenza appropriativa, almeno quando il tempo trascorso tra la riscossione e il versamento ecceda quello ragionevolmente necessario in relazione alla complessitdelle operazioni da compiere (Cass. Sez. VI, 15/10 – 12/11/09 n. 43279 Rv. 244992, 19/12/08 – 19/3/09 n. 12141 Rv. 243054; 3/11/03 – 20/1/04 n. 1256 Rv. 229766).

Nel caso in esame il giudice di primo grado, pur affermando in dispositivo la colpevolezza in riferimento al capo di accusa, che conteneva lintera condotta appropriativa e la specificazione in concreto dellimporto, oggetto di appropriazione, pari alla differenza tra quanto versato e quanto effettivamente destinato alle spese dellente, si solo in parte allineato al principio di diritto, come sopra enunciato, circoscrivendo il delitto alla sola parte relativa alla concreta e accertata appropriazione, in tal modo delineando e limitando loggetto della condanna.

In assenza di appello del P.M. o delle parti civili costituite, quello era loggetto del gravame al quale il giudice di appello era stato chiamato a rispondere e sul quale doveva confrontarsi.

Sennonchla corte territoriale, pur correttamene richiamando la consolidata giurisprudenza di legittimitin materia e estendendo il giudizio di colpevolezza alla complessiva condotta appropriativa, ha tuttavia violato tanto il principio devolutivo dellimpugnazione stabilito dallart. 597 c.p.p., quanto quello sancito dallart. 521 c.p.p. in tema di correlazione tra accusa e sentenza.

Sotto questultimo profilo va richiamato il recente orientamento di questa Corte, che, in applicazione della regola di sistema espressa dalla Corte Europea dei diritti delluomo (sentenza 11/12/07 Drassich c/ Italia), secondo la quale la garanzia del contraddittorio deve essere assicurata allimputato anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto operata dal giudice ex officio, ha stabilito che tale regola conforme al principio statuito dallart. 111/2 Cost., ed investe non soltanto la formazione della prova, ma anche ogni questione, che attiene la valutazione del fatto commesso (Cass. Sez. VI, 12/11 – 12/12/08 n. 45807 Rv. 241754).

Tuttavia siffatto vizio della sentenza impugnata non sembra abbia in concreto determinato pregiudizio alle garanzie difensive.
Ed invero la motivazione censurata, se da un lato incorre nellerrore dellultra petizione, dallaltro recupera sia pure in via residuale la sentenza di primo grado, inserendosi nel solco tracciato dal G.I.P., laddove – dopo avere affrontato e risolto tutte le censure proposte dagli appellanti sia in fatto, come quelle concernenti la stessa sussistenza dellappropriazione e il coinvolgimento della Mecozzi Debora nella vicenda, la perizia contabile e la mancata rinnovazione della stessa, sia in diritto, come quelle relative alla qualifica di pubblici ufficiali degli imputati e di ente pubblico dellOrdine professionale anche alla stregua della normativa comunitaria, nonchalla legittimazione delle parti civili a concludere due volte in un simultaneo processo – pervenuto alla conferma della decisione impugnata proprio nei termini e con le limitazioni fissate dal giudice di primo grado.

E passando in rassegna singolarmente i numerosi motivi di ricorso, osserva il collegio come sia destituita di fondamento la censura, concernente la condotta appropriativa, ritenuta dalla difesa irrilevante a fronte del silenzio serbato dagli organi dellOrdine, sulla quale ha replicato il giudice del gravame, correttamente osservando che nessuna autorizzazione era stata rilasciata, nessa poteva ritenersi tacita, e che in ogni caso la dedotta comodit derivante dalla vicinanza della sede della loro banca a quella dellente era smentita dalla circostanza che lo stesso ente aveva un conto acceso nel medesimo istituto, coscome nessun dubbio poteva sollevarsi sul concorso della Mecozzi nel reato, essendo emerso che questultima partecipava di fatto con funzioni direttive alla gestione amministrativa, sostituendo in pieno il direttore, quando era assente e che entrambi gli imputati si erano resi responsabili delle appropriazioni, ambedue operando i versamenti sul conto corrente personale delle somme dellOrdine, sul quale conto effettuavano anche operazioni non inerenti lattivitamministrativa, lucrando in tal modo anche gli interessi maturati sulle somme accreditate.

Quanto alla censura di contraddittoriete illogicitdella motivazione in riferimento alla valutazione della perizia contabile, al cui svolgimento era stato subordinato il giudizio abbreviato, ha risposto il giudice del gravame, il quale ha ricostruito i movimenti di cassa sulla base delle risultanze del conto corrente e della documentazione contabile rinvenuta e ha ritenuto attendibili i risultati raggiunti dal perito, osservando in maniera pienamente condivisibile che le difficoltricostruttive della perizia erano dipese proprio dal comportamento degli appellanti, i quali avrebbero dovuto tenere una rigorosa contabilitche separasse le operazioni personali da quelle inerenti lattivitamministrativa dellOrdine, che inoltre la stessa consistenza della cassa al 31/12/1999 sarebbe stata piagevolmente accertabile se il direttore lavesse resa nota al momento del passaggio delle consegne in occasione della sua cessazione dalla carica.

Illogico invece il ragionamento difensivo, secondo il quale in buona sostanza la confusione contabile doveva volgere a vantaggio degli imputati, sol perchnon risultavano provate le appropriazioni di danaro e non era preciso al centesimo il computo degli ammanchi di cassa. E sul punto non pusottacersi che limporto di Euro 24.028,43 corrisponde allipotesi ricostruttiva pifavorevole agli imputati, onde a poco rilevano le doglianze difensive in riferimento alla supposta mancanza di certezza sulla consistenza di cassa.

La difesa degli imputati lamenta poi la mancata acquisizione di documentazione inerente la contabilitdellOrdine professionale e la conseguente mancata rinnovazione della perizia contabile. Ma anche sul punto la corte distrettuale si espressa in modo chiaro e con argomentazioni esenti da vizi logici o interne contraddizioni, osservando che nessun documento utile era stato trascurato dal perito, non essendo rinvenibile alcun altro documento, che non poteva disporsi lacquisizione di un fascicolo, che la difesa supponeva in possesso della sezione di polizia giudiziaria, giacchtutti gli atti previsti dalla legge erano gistati depositati nellufficio del G.I.P. unitamente alla richiesta di rinvio a giudizio e che infine non era stata specificata la rilevanza di tale fascicolo. Sul punto priva di pregio si ravvisa la doglianza dellimputata Mecozzi Debora in ordine ad una presunta violazione dellart. 416 c.p.p., dal momento che limputato ha diritto di prendere visione di tutti gli atti ai fini dellesercizio di difesa e nel caso in esame ogni documento presente nel fascicolo del P.M. risulta essere stato reso accessibile a tutte le parti senza limitazioni di sorta.

Quanto alla censura concernente la qualifica di pubblici ufficiali attribuita agli imputati, la difesa sostiene che costoro non rivestirebbero la qualifica di pubblico ufficiale, in quanto in nessun modo avevano concorso a formare o a manifestare la volontdella pubblica amministrazione, come previsto dallart. 357 c.p. e che in ogni caso sarebbe anche esclusa la possibilitdi riconoscere ai predetti la qualifica di funzionari di fatto, stante il rapporto di dipendenza con lOrdine professionale.
Soccorre in proposito la giurisprudenza ormai consolidata di legittimit alla quale si sono correttamente allineati i giudici di merito, a mente della quale ai sensi del cit. art. 357 pubblico ufficiale non solo colui che con la sua attivitconcorre a formare quella dello Stato o di altri enti pubblici, ma anche chi chiamato a svolgere attivit avente carattere accessorio o sussidiario ai fini istituzionali degli enti pubblici, in quanto anche in questo caso si verifica, attraverso lattivitsvolta, una partecipazione, sia pure in misura ridotta, alla formazione della volontdella pubblica amministrazione, con la conseguenza che, per rivestire la qualifica di pubblico ufficiale, non indispensabile svolgere unattivit che abbia efficacia diretta nei confronti dei terzi – nel senso cioche caratteristica della pubblica funzione debba essere quella della rilevanza esterna dellattivitmedesima – giacchogni atto preparatorio, propedeutico ed accessorio, che esaurisca nellambito del procedimento amministrativo i suoi effetti certificativi, valutativi o autoritativi, seppure destinato a produrre effetti interni alla pubblica amministrazione, comporta in ogni caso lattuazione completa e connaturale dei fini dellente pubblico e non puessere isolato dallintero contesto delle funzioni pubbliche (Cass. Sez. VI, 10/2 – 5/5/04 n. 21088 Rv. 228871; 19/3 – 13/5/98 n. 5575 Rv. 210611).

Nella fattispecie in esame gli imputati in virtdel loro ufficio avevano il maneggio del danaro dellente per sostenere le spese necessarie alla sua operativit quanto basta per non dubitare della qualifica di pubblico ufficiale in capo ad entrambi.
Lo stesso dicasi sulla natura pubblica dellOrdine professionale, fortemente contestata dalla difesa, per la quale soccorre la costante giurisprudenza amministrativa, segnalata nella sentenza di primo grado – il cui orientamento condiviso da questa Corte – che ha qualificato lOrdine dei medici e tutti gli Ordini professionali, come ente pubblico espressamente deputato alla tutela degli interessi dellintera categoria che rappresenta (ex multis Cons. Stato Sez. VI, 14/6/1999 n. 254; Sez. V, 11/10/2005 n. 5496).

Nad inficiare tale qualifica giova richiamare, come fa la difesa, gli artt. 10 e 81 del Trattato CE, secondo i quali gli ordini professionali sarebbero da considerarsi associazioni di imprese, con le prevedibili conseguenza in ordine alla qualifica di pubblici ufficiali dei dipendenti.

Sul punto ha girisposto la corte territoriale, integrando quanto girilevato dal giudice di primo grado, laddove con argomenti assolutamente condivisibili, ha osservato che non puritenersi sussistente una pregiudiziale comunitaria, quando, come nella specie, si tratta di interpretare norme del Trattato di natura programmatica, che si prestano a dubbie modalitapplicative, tanto piche non si riscontra alcuna incompatibilitcon la norma comunitaria il fatto che le organizzazioni professionali siano assoggettate nel nostro ordinamento interno ad una disciplina di diritto pubblico.
Destituita di fondamento da ritenersi anche la censura concernente presunta violazione dellart. 100 c.p.p.. Nella specie lOrdine professionale si costituito con due distinti atti e procuratori contro ciascuno degli imputati, onde correttamente le conclusioni da assumere erano due. Del resto lordinanza emessa dal giudice di prime cure, che rigettava leccezione difensiva in ordine alle modalitdi costituzione delle parti civili non stata impugnata, di tal che la questione preclusa in questa sede.

Assolutamente generica infine la censura, concernente il trattamento sanzionatorio, formulata in difesa di Mecozzi Debora, che tende a sottoporre al giudizio di legittimitquestioni di mero fatto e valutazioni discrezionali in ordine allentitdella pena, rimesse allesclusiva competenza del giudice di merito.

Segue al rigetto dei ricorsi la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di quelle sostenute dalle parti civili in questo grado del giudizio, che si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalle parti civili e liquidate per Mecozzi Piertomaso in Euro 3.000,00 per onorari oltre spese generali IVA e CPA e per Mecozzi Debora in Euro 3.300,00 oltre spese generali IVA e CPA.

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